Quando non c’erano Playstation, quando anche il pc era un sogno per pochi; quando calciare il SuperTele era la norma, il Super Santos l’eccezione e il Tango un lusso; quando la partita tra amici era nel primo pomeriggio e la sera dedicata a nascondino; insomma, quando si giocava in strada, non sempre i genitori potevano “controllare” che i figli al massimo si sbucciassero le ginocchia. E quando capitava un impegno improvviso e ci si doveva allontanare da casa che si ricorreva all’intrattieni, cioè all’aiuto dei vicini, che intrattenevano i bambini o li controllavano nei loro giochi in strada. «I nostri genitori ci dicevano: “vai da Anna e dammi l’intrattieni”. Stavi là con la vicina e quando chiedevi il motivo di questo cambio improvviso la vicina ti liquidava con un “non preoccuparti che me la vedo io con nonna”. Il Villaggio per Crescere di Policoro mi ha fatto pensare a questo. A un intrattieni moderno».
Al Villaggio c’è un tempo lento
A parlare è Rina, mamma di 38 anni che al Villaggio porta il suo figlio più piccolo, Giacomo, di due anni ( i nomi sono di fantasia per tutelare i minori, ndr ).
«Il tablet, il telefono, la televisione sono diventate le cose più veloci mentre invece c’è bisogno di rallentare e il Villaggio è un modo di rallentare». Ed è questo uno dei motivi che l’ha spinta a frequentare il luogo dedicato alle bambine e ai bambini da 0 a 6 anni, e ai loro genitori, che ha aperto nel centro del Materano a settembre dello scorso anno.
Al Villaggio, Rina ha riscoperto il piacere di passare del tempo di qualità assieme ai propri figli.
«Con la prima, la più grande, il tempo riuscivo a trovarlo. Con Giacomo è stato più difficile. E questa è un’occasione per stare con lui ma anche con la più grande».
Un’occasione «gratuita», come sottolinea la mamma, «che fa la differenza. Perché molte volte quando paghi ti senti obbligata a fare qualcosa. Come quando acquisti l’abbonamento alla palestra. Lo hai pagato e ci vai, anche quando non hai voglia. Il Villaggio è l’esatto contrario: le persone che incontri sono tutte motivate. Chi ci va lo fa perché lo vuole fare».
Fare cosa è presto detto. Leggere, fare l’orto, giocare – anche con la sabbia – o dipingere. Tutto in modo condiviso. Giacomo, ad esempio, adora il mare e al Villaggio si può giocare con la sabbia. E dipingere. «Ama dipingere! – racconta Rina mentre un sorriso le illumina il viso – è un artista nato. Dipinge tutto, perfino il divano di casa».
Fino a poco tempo fa Rina portava al Villaggio anche sua figlia più grande. «A Lucia piace molto leggere e il Fare finta di, che è un gioco di ruolo. Le piace fare il cuoco e la ballerina». Tutti e due, la grande e il piccolo hanno una passione per la terra e l’orto. «Come nel periodo di Natale, quando Giacomo e Lucia hanno piantato il basilico e i fagiolini».
In una realtà come quella di Policoro, dove gli spazi e le opportunità educative per i più piccoli sono limitate e nella maggior parte dei casi a pagamento, il Villaggio ha ridato vitalità anche ai genitori. Gli stessi – ma non è il caso di Rina – che prima “parcheggiavano” i loro figli nei baby parking dei centri commerciali, ora hanno l’opportunità di trascorrere del tempo di qualità, educativo, con i propri figli.
«Quando entri ti lasci alle spalle la quotidianità, la vita frenetica. A casa uno non si rende conto che dovrebbe fermarsi un attimo e passare qualche ora con i propri figli. Il tempo passa molto velocemente. I bambini crescono ed è andata». Ma non è tutto. «La verità è anche che al Villaggio ci divertiamo più noi dei piccoli». Forse perché si torna tutti un po’ bambini e si riacquista un po’ quella spensieratezza e innocenza che si credevano perdute. E con esse si riacquista anche il senso di fare le cose assieme, e di aiutarsi.
Un circolo virtuoso di economia solidale
Se il Villaggio è infatti una scoperta quotidiana per i più piccoli, che ogni giorno imparano aspetti nuovi della vita, per gli adulti è una riscoperta del senso di comunità. «Tra le persone che conosco io – spiega Rina – nascono degli scambi. Ci si aiuta. Proprio nel senso di economia solidale. Ci si scambia magliette, gonnelline, pantaloncini, camicie, scarpe per i bimbi ma anche giocattoli. E a chi ha poche possibilità, cerchiamo sempre di dare una mano».
Oggetti che stavano per terminare la loro esistenza nei meandri di un armadio o di una cantina riacquistano quindi così una nuova funzione. Riprendono vita e senso nelle mani, nei piedi, addosso ad altri bambini.
Sono vestiti, giocattoli che incamerano ad ogni passaggio il valore affettivo che ogni bambina, ogni bambino, e i rispettivi genitori ripongono in essi. Mentre passano di mano in mano costruiscono relazioni. Costituiscono un filo rosso che lega le persone, che le fa sentire parte di un destino comune. Un gruppo dove nessuno può essere lasciato indietro proprio perché ci sarà qualcuno accanto pronto ad aiutare, a tendere la mano.
Una comunità, per l’appunto. Una comunità educante. L’obiettivo più alto di Un Villaggio per Crescere si sta lentamente realizzando anche a Policoro.
Mario Gottardi