Chi ha inventato il Villaggio ha fatto una cosa veramente buona

Chi ha inventato il Villaggio ha fatto una cosa veramente buona

«Noi siamo stati tra i primi a frequentare il Villaggio Per Crescere di Siracusa. Per me e i miei figli è quasi una seconda casa, una seconda famiglia. È stato difficile quando ci siamo trasferiti, a settembre, a causa del mio lavoro. Con la chiusura per il coronavirus e senza il nostro Villaggio è stato ancora più brutto». Perché Alessia, 28 anni, suo marito e i suoi due bambini di 4 e 2 anni, a settembre hanno dovuto preparare i bagagli e caricarli di roba pesante: maglioni giubbotti e sciarpe. Inusuale per loro, abituati al sole e al caldo di Siracusa ma la destinazione era Lanzo d’Intelvi, piccolo borgo delle montagne comasche, al confine con la Svizzera, dove Alessia aveva trovato lavoro. Un luogo lontano, sia in senso sociale che geografico, ma la distanza è stata accorciata dai legami stretti che Alessia aveva con le educatrici e con le altre famiglie che animano il Villaggio del quartiere Mazzarrona.

I suoi figli, Paolo, 4 anni tra meno di un mese, e Gabriele, 2 anni e mezzo, sono infatti molto legati alle educatrici del Villaggio, praticamente sono cresciuti con loro. «Erano abituati ad andare al mattino al nido, poi di pomeriggio andare al parco o al Villaggio. Eravamo sempre lì. Facevamo le uscite», racconta Alessia.

La vita isolata

Alessia e la sua famiglia stavano iniziando ad adattarsi al rigido inverno in montagna, magari a scoprire le bellezze e le opportunità di un ambiente così diverso dal loro ma altrettanto affascinante, con colori, paesaggi e una natura distante da quella a loro familiare ma per questo forse ancora più interessante. «Era tutta un’altra vita rispetto a quella che facciamo a Siracusa». E se la mattina Paolo, il figlio più grande, andava a scuola (mentre Gabriele restava a casa con il padre, che purtroppo non aveva trovato lavoro) e vedeva suoi coetanei, le ore pomeridiane erano per loro interminabili. Perché se a Siracusa c’erano il Villaggio, con le sue innumerevoli attività, e il parco, a Lanzo d’Intelvi – dove Alessia era stata chiamata a lavorare per una supplenza come collaboratrice scolastica – la famiglia non aveva ancora trovato la sua dimensione di socialità. E quindi stava chiusa in casa. 

Ma anche in questo caso, mamma, papà hanno potuto attingere a quel forziere di esperienze che è stato il Villaggio: e quindi con Paolo e Gabriele hanno letto libri, giocato, realizzato attività manuali. Assieme, genitori e figli, condividendo emozioni e attività.

Già nonostante, la sospensione della vita dovuta alla chiusura del paese per prevenire la diffusione del coronavirus è stato un brutto colpo, specie per i bambini. «Durante il lockdown cercavano le educatrici e gli altri compagni di giochi ancora di più rispetto a prima, invece dovevano stare chiusi in casa».

Il lockdown

Con la sospensione di ogni attività non essenziale decretata dal Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, a metà marzo, la vita sociale per la famiglia è diventata ancora più pesante. «A me al lavoro mi hanno chiamato solo qualche volta, Facevamo i turni, eravamo reperibili anche se le scuole erano chiuse», racconta Alessia. 

Suo marito invece è stato più sfortunato: «All’inizio non aveva trovato lavoro. Poi, fortunatamente, era stato assunto in un albergo come aiuto cuoco. Doveva iniziare a marzo. Poi con il lockdown ovviamente l’assunzione è saltata, ed è rimasto a casa». E ha fornito un aiuto inaspettato. 

Chi ha accusato maggiormente il colpo del lockdown sono stati i bambini. «Sono cambiati tanto, soprattutto dopo che hanno chiuso la scuola. Le giornate non passavano più. È stata dura per loro ma anche per noi, perché non era facile tenerli impegnati. Al Villaggio correvano, ridevano assieme ad altri bambini, si divertivano. Anzi, ci divertivamo, perché al Villaggio andavamo anche noi mamme». 

Indicazioni a distanza

Alessia e suo marito però non si sono lasciati prendere dallo sconforto. Hanno invece reagito. «Facevamo la pasta, i biscotti. I bambini hanno fatto disegni e poi appiccicato le lenticchie sopra. Leggevamo le favole, come Cappuccetto rosso o i tre porcellini». 

Se il lockdown nei primi giorni è stato caratterizzato da un senso di smarrimento generale, dopo, quando anche il Villaggio si è organizzato con le attività a distanza, paradossalmente per Alessia e i suoi bambini ha avuto anche effetti positivi: non erano più soli. Grazie agli strumenti digitali come le chat, le videochiamate, le proposte di attività, le discussioni sui gruppi Facebook o WhatsApp le educatrici e le altre mamme non erano più così distanti. 

«Con le videoletture, soprattutto. Le videoletture sono piaciute un sacco a Paolo e Gabriele. Poi abbiamo fatto videochiamate con meet, ci siamo scritti sul gruppo Facebook, e sul gruppo di WhatsApp: le educatrici ci davano indicazioni, e poi a casa le seguivamo». E poi le altre mamme e i bambini condividevano ciò che facevano e quindi fornivano spunto su cosa fare quando la noia prendeva il sopravvento. Uno spirito di comunità che poi è lo spirito che anima i Villaggi in tutta Italia.

Ora che l’anno scolastico è giunto al termine, Alessia e la sua famiglia sono tornati nella loro Siracusa. «Dopo il rientro ci stiamo ancora organizzando. Ho tanta voglia di vedere tutti, vorrei andare a mangiare qualcosa, tutti assieme», racconta felice la giovane mamma. «Stiamo aspettando la riapertura del Villaggio con tanta felicità. Chi ha inventato il Villaggio ha fatto una cosa veramente buona, per me è stata una cosa ottima».

 

Mario Gottardi